Nel contesto della crisi
economica globale che coinvolge anche il nostro Paese, come cittadini impegnati
nel
costruire il bene comune dovremmo orientarci, con sempre maggior forza, al
perseguimento del bene dell’intera comunità civile e a una speciale attenzione
per i più deboli, rafforzando concretamente l’azione solidale.
Ci rendiamo conto di trovarci in
una congiuntura di radicali e incalzanti mutamenti. Molti di essi non saranno
positivi per il Mezzogiorno, potrebbero infatti acuirsi antiche debolezze e
approfondirsi limiti radicati. Lo sviluppo dei popoli si realizza non in forza
delle sole risorse materiali, ma soprattutto grazie alla responsabilità del
pensare insieme e gli uni per gli altri.
Benedetto XVI afferma che “la
formazione di strutture giuste non è immediatamente compito della Chiesa, ma
appartiene alla sfera della politica (…)”. In questo, il compito della Chiesa è
mediato, in quanto le spetta di contribuire alla purificazione della ragione e
al risveglio delle forze morali, senza le quali non vengono costruite strutture
giuste, né queste possono essere operative a lungo.
E’ quindi responsabilità comune –
si profila qui un primo essenziale tratto del nuovo welfare – fare emergere i
bisogni sociali prima che divengano emergenze sociali. Vi sono, infatti, al di là della domanda sociale nota,
aree di povertà che sfuggono alla nostra conoscenza. “Coni d’ombra” che celano
spesso le persone più fragili: scarsa consapevolezza dei propri diritti;
difficoltà a individuare e raggiungere l’interlocutore giusto; inadeguatezza a
rappresentare la propria situazione. I tanti anziani che vivono soli; alle
famiglie con minori o disabili a carico ovvero alle prese con difficili casi
di dipendenza. I molti stranieri che, anche per effetto di barriere
linguistiche, culturali e burocratiche, non accedono a servizi basilari.
Consegue da queste premesse l’importanza di condividere, ancor più di quanto
già accada, informazioni e dati in possesso di ciascuno degli attori coinvolti.
Per fare comprendere l’importanza di questa
fase di conoscenza, è importante un secondo fondamentale passaggio per la
costruzione di un nuovo sistema di welfare: nell’ambito di una rinnovata
alleanza tra Stato e società, l’ulteriore valorizzazione di Volontariato,
Associazionismo familiare e mondo non profit. Il forte radicamento popolare di
tali realtà, infatti, le rende capaci non solo di rispondere a una parte del
bisogno sociale, ma anche di fornire preziose anticipazioni sulle tendenze in
atto.
È auspicabile la riscoperta di
quelle attitudini di “buon vicinato”, che pure fanno parte del bagaglio
valoriale del nostro Paese: dai più strutturati comitati di quartiere o degli
inquilini sino a forme più leggere di reciproca vigilanza solidale. La povertà
nella nostra società è un fenomeno complesso, in cui si riscontrano situazioni
di disagio variegate e spesso cumulative. Accanto a bisogni primari (inerenti i
beni materiali di sussistenza) e secondari (salute, istruzione, assistenza...),
si manifestano con forza crescente bisogni relazionali generati o acuiti dalla
caduta dei legami comunitari e interpersonali, che aggravano e prolungano i
primi due stati di necessità. Questo intreccio di problemi di differente natura
non può essere affrontato esclusivamente con il ricorso a interventi
finanziari, peraltro importantissimi, specialmente in periodi come questo. La
creazione di nuove ed efficaci forme di solidarietà richiede soprattutto una
vasta e coordinata gamma di politiche e di servizi rivolti alle persone, alle
famiglie, alle comunità locali. Coordinata anche nel senso di un sempre più
estesa e organica connessione tra iniziative collocate negli ambiti
tradizionalmente qualificati come “sociali” e quelle situate in aree
considerate “di confine”, ma che tendono a divenire vieppiù parti integranti
delle politiche sociali: formazione professionale; politiche del lavoro;
politiche urbanistiche e abitative; ricerca, sanità e soprattutto, servizi
educativi e servizi di sostegno alla maternità e all’infanzia.
La storia della solidarietà
sociale nel nostro Paese mostra come il dato valoriale (confessionale o laico)
sia essenziale dal punto di vista delle motivazioni e della creatività. Una
società solidale non può prescindere dal proprio retroterra “comunitario” e, in
ultima istanza, dal percepirsi essa stessa come una “comunità civile”, intesa
come “consesso legato da tradizioni e affetti.
La gravità di questa crisi
economica si spiega anche come effetto della crisi di identità in cui versa
l’Occidente, da cui discende un forte disorientamento per la perdita di punti
di riferimento essenziali. Da tale smarrimento è nata e ha potuto svilupparsi
in modo abnorme una inadeguata e incompleta concezione dello sviluppo, del
lavoro e dell’impresa, che non ha tenuto conto del necessario equilibrio tra le
molte dimensioni della vita umana, familiare, sociale, ambientale, religiosa.
Promuovere il ritorno all’etica
esclusivamente in ambito finanziario, dunque, non basta: anche nel lavoro e
nelle altre tipologie di intrapresa si deve ridare centralità alla persona
umana. D’altro canto, la solidarietà può davvero dirsi “nuova” solo se capace
di guardare avanti e se, nell’affrontare le difficoltà contingenti, non ignora
le criticità strutturali.
“In cinese la parola crisi è
raffigurata con due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l’altro
rappresenta l’opportunità.” (J.F. Kennedy).
Andrea Pastore
Vicepresidente
provinciale Acli Salerno
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