La
proposta Acli – Caritas per un Reddito per l’inclusione sociale contiene
elementi di grande importanza offerti al dibattito pubblico.
Innanzitutto
una notazione di contesto: il 5,2% di
famiglie vive al disotto della povertà assoluta – non è cioè in condizione (definizione
dell’Istat) di raggiungere standard nutrizionali adeguati, vivere in
un’abitazione con un minimo di acqua calda ed energia, potersi vestire
decentemente e così via.
Di
fronte ad un problema sociale così diffuso Acli e Caritas propongono un “patto
aperto contro la povertà”, perché il problema della povertà è – per sua stessa
natura e per le dimensioni assunte – un problema di tutti gli attori in campo:
dello Stato come degli Enti locali e dei corpi intermedi.
Nel
merito la misura prevede in un periodo di transizione di 4 anni, di integrare
gli introiti delle famiglie in stato di necessità, con un supplemento mensile pari
alla differenza tra il proprio reddito e la soglia Istat della povertà assoluta.
Ma non si tratta di semplice erogazione di denaro. Accanto al contributo
economico, ci si preoccupa di creare le condizioni per uscire dalla
marginalità: i familiari inoccupati riceveranno ad esempio l’aiuto dei centri per
l’impiego anche per un percorso formativo e motivazionale, incentivando il
processo della ricerca di un lavoro, grazie all’acquisizione di strumenti ed
informazioni che li aiutino nella preparazione professionale. Perché più
nessuno debba sentirsi escluso,
tantomeno per questioni economiche.
L’intervento
proposto da Acli e Caritas ha anche il pregio di dire con chiarezza che le
risorse non vengono dal cielo, ma che tuttavia se si vuole è possibile trovare
gli stanziamenti necessari. In particolare s’individua un mix di misure di
riduzione/o riordino della spesa pubblica e di incrementi di imposizione
fiscale sui quali si ritiene possibile intervenire.
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