martedì 1 aprile 2014

Quale ruolo per le associazioni versione 3.0?


Altrove, su questo blog abbiamo affrontato il tema dell'associazionismo di promozione sociale, ad esempio in relazione alla crisi (sociale, economica, educativa) che viviamo o in relazione alle politiche e i servizi per l'immigrazione.
Ma quale è il metodo dell'associazionismo di  promozione sociale, quale la struttura che lo sostiene?

di Gianvincenzo Nicodemo

C'è un aspetto della trasformazione sociale che stiamo vivendo che riguarda il rapporto tra cittadino e collettività.
Lo Stato e gli enti locali sono sempre meno in grado di fornire alcuni dei servizi pubblici essenziali nelle forme e nelle modalità nelle quali abbiamo imparato a concepirli dal dopoguerra ad oggi.

Il vincolo dell'equilibrio di bilancio è diventato una scure che rende inapplicabile riforme anche interessanti, e il peso del debito pubblico (prodotto da politiche scellerate) è insostenibile. La prospettiva dei tagli, che sembra l'unica (praticabile e impraticabile insieme, in questo parossistico paese) rende difficile immaginare ampliamenti di diritti sociali, che invece vediamo ridotti progressivamente da dieci anni a questa parte. Si pensi alle pensioni per le generazioni di lavoratori che hanno oggi meno di cinquanta anni o ai tagli del fondo nazionale e dei fondi regionali dei servizi sociali. Lo Stato non ce la fa, e andiamo verso forme premoderne di intervento sociale. 

Un esempio. Nella Napoli del XVI secolo si trovavano in transito da e verso Roma un enorme numero di pellegrini, che, soprattutto negli anni di Giubileo, sobbarcandosi viaggi che duravano mesi e senza il becco di un quattrino inondavano le strade. Ora, capitava spesso che questi pellegrini si ammalassero durante il viaggio; inoltre, non essendo turisti con bancomat e libretto di assegni si affidavano alla Provvidenza, al punto che neanche sapevano dove  avrebbero dormito o mangiato. La differenza tra vagabondo e pellegrino non era poi così marcata e ne nasceva un reale problema sociale e sanitario.
A questo e ad altri problemi sociali dava una risposta la società civile organizzata: mille forme di carità che si autoorganizzavano dal basso: ordini religiosi, associazioni private di fedeli, confraternite. Nel caso del problema sociale dei pellegrini, a Napoli (sul modello di un analogo intervento nella prima metà de' 500 a Roma) in quegli anni nacque l'Arciconfraternita dei Pellegrini, che opera ancora oggi.

Quale spazio per le organizzazioni sociali in questa epoca per tanti versi premoderna? E soprattutto,quale è il compito dell'ora per l'associazionismo, in questo tempo, nel meridione del Paese?


Io credo che la parola chiave dell'autoorganizzazione dal basso dei cittadini nel ventesimo secolo sia lo scambio mutualistico. Siamo abituati a concepire la mutualità come cooperazione, come scambio a contenuto economico tra persone.

Una forma di mutualità classica, ad esempio, è costituita dalle cooperative di  consumo, in cui l'associarsi in cooperativa è finalizzato ad acquistare prodotti a condizioni migliori di quelle offerte dal mercato, o alla cooperazione di lavoro, in cui l'oggetto dello scambio è il lavoro a condizioni migliori di quelle offerte dal mercato. Un analogo discorso vale per le cooperative di conferimento per il credito cooperativo, eccetera.
Lo scambio mutualistico classico - la mutualità, così come abbiamo imparato ad averci a che fare - ha un contenuto economico, è una cosa che ha a che fare con l'economia in senso proprio, e infatti le cooperative - che ne sono la rappresentazione più classica, sono, secondo il nostro diritto civile, imprese.

Ma c'è una mutualità che ha contenuto prevalentemente relazionale, ed è rappresentata dalle associazioni. La voce mutualità del dizionario ne riporta come una  "forma di cooperazione fondata sulla base della reciproca tutela e assistenza".

C'è uno spazio per una mutualità associativa: c'è spazio perchè le associazioni diventino luoghi fisici e non in cui lo scambio a prevalenza non economica ma relazionale assume  la centralità che le compete.  
C'è un motivo per cui per cui ritengo che le associazioni - e le associazioni di promozione sociale - siano strumento privilegiato per affrontare la sfida sociale. Una sfida sociale che ha i contorni dell'atomizzazione, dal venir meno della famiglia come ammortizzatore (sociale, psicologico, economico) della fragilità individuale, della venir meno della stessa educazione come azione della comunità.

In primo luogo le associazioni sono luoghi di vita delle persone: luoghi in cui le persone si incontrano e socializzano l'incertezza. Penso allo scambio che avviene in certi nostri circoli di giovani famiglie, in cui la difficoltà dell'esperienza della paternità e della maternità diventa il tema dello stare insieme, del comunicarsi come si è superata una determinata difficoltà con i figli, di come ci si relaziona con i mondi (gli insegnanti, i pediatri, i compagni di scuola o di calcetto, ecc). Penso all'associazionismo di mutualità dei genitori del Santobono che incontriamo con il nostro Patronato, che insieme riescono a farsi forza nella debolezza data dalla sofferenza della malattia del proprio bambino.

La mutualità associativa  nel senso dello stare insieme si concretizza nelle mille forme di associazionismo di promozione sociale che promuovono socialità: dal circolo dove ci si ritrova per giocare a forme più strutturate di associazionismo culturale in cui lo stare insieme produce conoscenza dei territori in cui l'associazione è incardinata.

In secondo luogo, la mutualità associativa si fa servizio. Nelle Acli questo accade da sempre, ed oggi siamo abituati a pensare come imprese sociali strutturate e con dignità imprenditoriale, servizi che hanno maturato decenni di esperienza e migliaia di operatori: il Patronato, il Caf, la formazione professionale, i servizi per gli agricoltori hanno forme di impresa organizzate e strutturate da decenni.
Tutti i servizi che le Acli, però, nascono da un bisogno di comunità autoorganizzato: la formazione professionale delle origini nasce da vecchi macchinari di aziende dismesse negli scantinati di qualche parrocchia, il Patronato nasce come forma autoorganizzata di associazione di lavoratori parasindacale.
Questi servizi hanno assunto con il tempo un contenuto di struttura che ha garantito loro di rimanere stabili e professionali, nei decenni, ma nascono da esigenze dal basso dei cittadini, cittadini che fanno le Acli nei circoli e nelle province.

In terzo luogo, la mutualità associativa può essere uno spazio di lavoro per alcuni.
Ci arriva spesso una richiesta di persone che, spessissimo tramite il Progetto Policoro, ci chiedono di affiancarli nella gestione di un nido famiglia, di un servizio doposcuola, di una ludoteca, eccetera. In genere queste persone arrivano alla forma associativa senza particolare consapevolezza, perchè ritengono più semplice costituire un'Aps che, ad esempio, una cooperativa.
Con queste persone vogliamo provare a comprendere cosa dice la legislazione (fiscale, del lavoro, in materia di gestione di associazione, e di servizi educativi e culturali) e condividere un orizzonte di senso nel quale operano. Lo faremo con un percorso di formazione attraverso il quale restituiamo parte del cinque per mille che i cittadini campani hanno voluto donarci.
E al termine, chi vorrà, potrà vivere la dimensione della mutualità associativa dentro la visione di presente e futuro delle Acli.



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